Il blog di Nicholas Montemaggi

IronMan Maryland: jet-lag, meduse e tanti sorrisi

L’ultima volta che avevo nuotato, pedalato e corso in terra statunitense è stato a novembre 2019. Insieme alla mia compagna Jessica siamo stati a trovare la sua famiglia ed i tanti amici in quel di Philadelphia. E durante la cena del ringraziamento il padre di Jessica mi dice “sarebbe bello venirti a vedere mentre affronti un IronMan in USA”. Detto, fatto! Spulciando il calendario eventi IM nella zona di Philadelphia, il più vicino evento era l’IronMan Maryland, a 4 ore da Philly. Come periodo, cadeva perfettamente a fine settembre, momento ideale per viaggiare negli USA, con clima ancora piacevole e voli comunque più abbordabili rispetto al resto dell’estate.

A natale 2019 stavo per completare l’iscrizione, ma ho deciso di aspettare qualche mese in quanto con gli impegni lavorativi per il 2020 ancora non sapevo dove e per quanto impegnato sarei stato a settembre. A fine febbraio 2020 poi, è successo quello che tutti abbiamo purtroppo affrontato, la pandemia Covid-19. Potrei scrivere uno o più articoli riguardo a quei mesi di lock-down e di assenza di eventi, ma cerco in tutto onestà di non pensarci più di tanto e di concentrarmi su quanto è stata l’esperienza di quest’anno.

Come detto, a quasi 3 anni di distanza dall’ultima volta sul suolo americano, e con in mezzo uno degli avvenimenti più belli di tutta la mia vita (la nascita di mio figlio), ad inizio estate decidiamo con Jessica che è giunto il momento di tornare negli USA e di far conoscere a nostro figlio tutta la famiglia americana!! Ma non solo, perché non andare ad affrontare anche questo benedetto IronMan?

Diciamo che questo 2022 era stato già parecchio intenso, con l’IronMan di Lanzarote affrontato a maggio e con l’eagleXman extreme triathlon affrontato a luglio (e purtroppo non terminato a 15km dalla fine). Mi sentivo comunque motivato a chiudere la mia stagione sportiva con una gara portata a termine. Certo è che non avevo a disposizione tutto il tempo come fatto per Lanzarote, in quanto durante l’estate il lavoro è (per fortuna) esploso. Con il senno di poi avrei preparato la gara meglio, con la stessa cura di quanto fatto per Lanzarote, ma con i se e con i ma non se ne fa niente.

Dopo un lungo viaggio con scali ad Amsterdam e New York, arriviamo dopo quasi un giorno di viaggio a Philly. Viaggiare con un bimbo di 10 mesi è il vero IronMan, altro che 🙂
Ritirato il bagaglio vado a controllare che tutto sia a posto ed ecco una spiacevole scoperta: il bagaglio della mia bici era stato danneggiato. Già potete immaginare come abbia nominato tutti i santi del paradiso in quel momento al ritiro bagagli, ma per fortuna il danno è stato solo esterno alla valigia, e la bicicletta non ne ha risentito.

Le due settimane precedenti la gara, sono state molto intense sotto tanti punti di vista: dal cambiare quasi ogni 4-5 notti alloggio, visitare i tanti amici e parenti, e lavorare nottetempo in quanto avevo bisogno di essere collegato con il fuso orario italiano. Sicuramente non le condizioni ideali per avvicinarsi alla gara. Ma come detto, l’obiettivo era quello di fare una “spurgata” finale e di tagliare quel traguardo che a fine luglio non avevo raggiunto durante l’eagleXman.

Dopo due settimane di road-trip sulla East Coast, ecco che arriviamo a Bowie, poco fuori Washington, a casa dell’amica di Jessie che per quei giorni durante l’IronMan ci ha aperto la sua casa! Bowie rimane ad un’ora e trenta circa di auto da Cambridge, Maryland, location della gara. Già potete immaginare quante volte io abbia fatto avanti e indietro per: ritiro pacco gara e briefing (giovedì’), check-in bici (venerdì’), gara (sabato).

E arriviamo proprio a quel fatidico sabato 17 settembre. La sveglia suona molto presto, forse anche troppo, ma non c’è neanche stato bisogno di aspettarla perché come sempre la sera prima di un IronMan il sonno è davvero poco. Faccio la mia solita colazione pre gara alle 4:30 mentre ero in viaggio in auto verso Cambridge ed alle 5:30 arriviamo a destinazione. Jessica e nostro figlio sono chiaramente rimasti in auto a dormire, mentre il babbo svolgeva gli ultimi controlli di tutto il materiale in zona cambio.

Ore 6:30 apre la zona dello start e cerco di mettermi davanti. Il nuoto è la disciplina in cui riesco a rendere di meno (ci sto comunque lavorando duramente) e quindi volevo essere in mezzo a coloro che vanno più forte per prendere qualche scia. L’IronMan in Maryland ha un percorso abbastanza facile, nel senso che è una gara molto partecipata da coloro che affrontano il loro primo IronMan avendo un percorso relativamente piatto. L’unica difficoltà, diciamo così, è il nuoto che presenta una navigazione abbastanza facile, ma ricca di meduse! Sono abituato a nuotare nell’Adriatico ed a colpire qualche medusa qua e là, ma mai avrei pensato di dover nuotare in veri e propri banchi di mini-meduse. Alla quinta pizzicata in faccia mi sono dovuto un attimo fermare per togliermi le meduse dagli occhialini e dal collo, che si erano letteralmente attaccate al mio viso. Ero un po’ arrabbiato perché mi ero destabilizzato un po’ e avevo perso tempo prezioso. Inoltre, a metà percorso nuoto la marea si è alzata e una corrente fastidiosa ha iniziato a spingerci tutti un po’ a largo. Esco dal nuoto con il mio peggior tempo in un IronMan (1h12m) e Jessica insieme a Max mi incitano mentre in zona cambio corro verso la bicicletta.

La T1 la affronto in maniera molto veloce, come sempre, ed in men che non si dica sono già in sella alla mia Factor. I primi 20km di percorso portavano gli atleti fuori dalla piccola cittadina di Cambridge verso la riserva naturale dove incominciavano poi i due lap circolari da 80km l’uno. Nei primi 20km vi era una sorta di bastone, quindi non appena il primo atleta mi è passato nel senso opposto ho iniziato a contare quanti ne avevo davanti (nel senso in quanti mi avevano dato la paga a nuoto). Neanche a farlo apposta, ma avevo 99 persone davanti, quindi ero io il 100° atleta. Diciamo che ero un po’ deluso, avrei almeno sperato di uscire tra i primi 70-75. Ho tolto subito il pensiero negativo dalla mia testa e mi sono messo giù a menare sui pedali. Non sono stato a contare quanti atleti superavo, anche perché al secondo giro iniziavano ad esserci sul percorso anche gli atleti più “lenti” che iniziavano il primo giro.

Il percorso come detto era molto piatto, soffiava un leggero vento laterale che di tanto in tanto era a favore, poi contro e poi di nuovo di lato, ma di per se la frazione bici è andata abbastanza bene ed avevo a tiro qualche atleta che teneva il mio ritmo, quindi bene!
Arrivo in T2 e vedo Jessica che stava spingendo Max nel passeggino, le urlo “here I am babe” e lei si girà di scatto urlandomi “let’s gooooo!”. Anche la T2 è molto veloce, tolgo il casco e mi infilo le scarpette da corsa, ed eccomi già fuori sul percorso run. Dopo neanche 1 km ecco Jessica con Max (cotto nel passeggino) che mi dice di essere 8° di categoria e 25° assoluto. Ottimo, mi dico, mi sento fresco e posso recuperare qualche posizione, dato che la corsa è il mio cavallo di battaglia. Effettuo il primo dei quattro giri da 10km che si snodano sul lungo fiume di Cambridge con passaggi in alcuni viali alberati ed altri sotto al sole lungo le rive del fiume. Dopo il primo giro Jessica mi informa di essere sempre 8° di categoria, che sto tenendo un buon ritmo, ma che anche davanti non mollano. Il secondo giro passa in fretta, ed ecco che il percorso inizia a popolarsi con più atleti che man mano avevano finito la loro frazione bici. All’inizio del terzo giro Jessica mi urla che nulla è cambiato, sempre 8° di categoria, ma che mi trovavo tra i primi 20. “Caz**” mi dico “ma non salta nessuno lì davanti della mia categoria?”. Durante il terzo giro il caldo inizia ad aumentare ed inizio ad accusare un po’ il viaggio e la settimana passata a dormire su vari divani. Anche ai ristori inizio non più a bere solo acqua, ma a sciacquarmi anche con un po’ di pepsi ed invece che versarmi dell’acqua in testa, mi verso un bel bicchiere ghiacciato di gatorade (non la scelta migliore dato che è tutta appiccicosa, ma arrivato a quel punto tra fatica e sudore, non te ne frega più niente). Finisco il terzo giro motivato che mancano solo 10km, vedo passare i primi tre uomini che tengono un bel passo, ma sento di essere pastoralmente solido anche io. Passo di nuovo Jessica che si era questa volta “accasata” nella tenda della NYC Police Triathlon e con il megafono mi urla di essere sempre 8° di categoria, con il distacco dal 7° atleta che non era cambiato, così come il distacco che avevo nei confronti del 9° atleta dietro di me. Un po’ rassegnato affronto l’ultimo giro, sperando che qualcuno là davanti scoppiasse, ma doveva succedere un miracolo.
Miracolo che non è, come immaginavo, successo, e taglio la finish line come 8° di categoria e 19° assoluto in 9:28:37’’, esattamente lo stesso tempo (secondo più secondo meno) che avevo fatto nell’IronMan di Cervia nel 2019.

Come sempre, la gara riflette in tutto e per tutto quello che è stato l’allenamento e la preparazione dei mesi passati. Come detto non ho allenato e preparato come avrei voluto questa gara, ma va benissimo così, dal Maryland mi porto a casa due cose:

dopo la top 10 di categoria di Lanzarote, anche qui confermo la top 10. Manca però ancora qualcosa per arrivare in top 5 e quindi in zona slot Kona. Forse meglio fare un anno di “pausa” dal circuito IM e continuare con gli allenamenti ed il mio processo di crescita da atleta, per poi riprovarci nel 2024;

chiudere un IronMan sotto alle 9 ore e 30 minuti è per me una cosa “facile”, nel senso che anche con meno allenamento e preparazione, questo tempo è quello da cui parto. Next objective sarà sicuramente quello di andare in una gara con queste caratteristiche attorno alle 9 ore (Lanzarote poco sotto le 10 ore invece).